Mark Cooper
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Ando Gilardi
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La Terra Vista dalla Luna.

 

Al principio c’è, altrettanto con certezza quanto inconsapevolmente, la stessa necessità che ha portato allo scatto della celebre fotografia Élevage de poussière, particolare del Grande Vetro di Marcel Duchamp (Rrose Sélavy) “catturato” a New York nel 1920 dall’obiettivo di Man Ray, che di Duchamp fu spesso un altro occhio (il terzo occhio?). La didascalia che ne accompagna la pubblicazione sul numero 5 della rivista “Littérature”1 diretta da André Breton e Philippe Soupault aiuta l’avvicinamento a questa immagine così indecifrabile in cui l’opera di Duchamp è completamente trasfigurata. <<Ecco il dominio di Rrose Sélavy/ com’è arido- com’è fertile -/ com’è gioioso – com’è triste>>. Cui segue la preziosa indicazione:<<Veduta ripresa in aereo da Man Ray, 1921>>.

Non si badi all’inesattezza della data (la fotografia è stata effettivamente scattata nel 1920), ma alla sostanza del discorso. L’opera di Duchamp, irriconoscibile, si rivela come un lontano continente da esplorare dall’alto. L’ambivalenza sembra esserne la caratteristica principale: così arido e così fertile, così gioioso così triste.

Questo, e non quello della più ingenua e “meccanica” aeropittura futurista, è il climax che i lavori di Mark Cooper portano negli occhi di chi guarda.

Le sue fotografie (tutte aeree) si basano sull’allontanamento come condizione necessaria alla visione. Da vicino manca la prospettiva, la profondità necessaria al vedere.

Il suo occhio volante taglia e seleziona frammenti che compongono una campionatura del territorio, essi assomigliano a brani astratti di pittura segnica, a porzioni di superfici regolate da pattern in cui regna un silenzio metafisico.

Le Langhe in cui Cooper vive ormai da molto tempo sono il territorio privilegiato per le sue escursioni, ma non si tratta in nessun modo di un discorso campanilistico, piuttosto di una messa in pagina, di una sottolineatura della bellezza della natura, che sia spontanea oppure ordinata dall’agricoltura umana. Le opere contengono indubbiamente un richiamo indiretto alla responsabilità collettiva nel disegnare, nel segnare, nel ferire il nostro pianeta che, Cooper sembra dire, visto dall’alto, è più bello di tutta l’arte messa insieme.

 

Elisabetta Longari.

Insegna Storia dell'arte contemporanea all'Accademia di Belle Arti di Brera, Milano.

 

 

 

 

1 Ottobre 1922


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